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Siamo ormai agli ultimi km percorsi in moto prima della partenza.
Parsimonia e cura paiono i termini più adatti alle sensazioni di questi giorni.
David, a volte, sfida il traffico e va al lavoro in auto mentre io mi perdo nel metrò, leggendo con la testa impigliata fra le parole di un nuovo libro, letto con la disattenzione degna di uno scolaro.
La testa è sempre lì, al viaggio e non è poi così raro saltare la fermata necessaria o trovarsi a fissare con occhi vitrei e senza reale motivo il passeggero seduto difronte.
Le chiamate degli amici si inseguono durante il giorno e certe volte è come se volessi chiudermi e difendermi, spaventato dal cosa dire, come fare, come preparare, spaventato dalle aspettative di me, di noi stessi.
Correre, andare, le felpe da stampare, i giorni al lavoro, spesi , o per meglio dire sospesi, su una ragnatela fittissima di distrazioni e tentativi di concentrazione persi in partenza.
Già, la partenza, con la P maiuscola, così invadente da esser sognata, di notte, nemmeno fosse la donna più bella.
Irrimediabili urgenze, inviti, email, un mucchio di post-it in continua modifica, elenchi dimenticati, elenchi di persone e cose: in valigia tutto non c’entra e dovremo trovare una soluzione.
Forse in testa, nell’anima, porteremo tutto con noi, compreso il bagaglio delle cose dimenticate, spaiate, attempate, rimandate sempre e per sempre, mai dette, rimaste aggrappate sulla punta della lingua, alle pareti della bocca, per decenza, incoerenza, incoscienza, paura, rispetto.
Tutte quelle cose che fanno da condimento di noi, che ci fanno esser così come siamo
Porterò via anche quelle idee che ti sorprendono nel casco, lontano da casa, e che sono più tiepide di quando le avevi pensate la prima volta, chiudendoti la porta alle spalle, al mattino, correndo al lavoro, fingendo di ascoltare la voce all’altro capo del filo del telefono che ti ricorda che “avresti dovuto farlo entro il…”
Momenti impastati di sottilissima sfoglia velo di ricordi e “malinconie,” malinconie che, appunto, riescono perfino ad essere dolci, saporite, grasse come le risa che sanno far rumore, nelle notti di birra con gli amici, nei pomeriggi a cazzeggiare.
Porto via, sperando mi risuoni nella testa, la frase che ieri mattina mi ha suonato la sveglia nonostante fossi già in piedi da ore.
Porto via quell’immagine in cui la “signora Puntogomme”, la moglie di Carlo, mi saluta stringendomi la mano dopo essersi presentata: egonutrienti complimenti sputati di getto, ad occhi spalancati e sinceri.
Quelle parole le porto via e le tengo strette perché spero un giorno di farne un lavoro: la gente, le parole saporite, i racconti, i libri, i viaggi.
Ogni controllo della posta elettronica rafforza la convinzione ed il numero di persone che per i più differenti motivi ci sono vicine, che ci conoscono, che ci salutano, che si scusano per non esserci, che confermano di esserci.
Premure ed urgenze, appunto.
Premure
Le moto protette, preservate dalla fatica, in attesa della fatica: sono chiuse nei box e ne escono solo per i pochi km percorsi con un nervosismo che non avevo mai sentito addosso ne visto addosso a David.
Uscendo per raggiungere le rispettive officine è come se odiassimo più che mai il traffico, come se ci proteggessimo con rabbia e fastidio da ogni minimo pericolo che possa scalfire la convinzione di andare e tornare.
Il rischio di una caduta, un piccolo incidente, una rottura.
Mordiamo chiunque, guardinghi da qualunque cosa, predati dall’ansia di un interminabile vigilia.
Solo assieme riusciamo a capirci senza poi l’esigenza di dirci nulla, come al solito. Riusciamo a confrontarci con questa sensazione di repulsione all’uso della moto proprio per l’estremo amore della stessa. Complicate contraddizioni, come in ogni storia di passione vera.
Urgenze
Gli adesivi, mancano gli adesivi da attaccare, alcuni da ritoccare, altri da far stampare.
Le felpe da modificare per gli sponsor, il lavoro da continuare, il sito web, i giorni che passano e le cose dimenticate che aumentano.
Certe notti partirei, stressato dal mio stesso sogno.
Il telefono di David squilla e lui risponde senza nemmeno domandarsi chi lo interrompe per cena, nel tentativo di prender sonno o durante il lavoro.
Io, sempre io.
Snocciolo idee e proposte perfette collaborazioni, nuovi sponsor, proposte puntualmente riviste alla telefonata successiva.
Telefonate così inutili da essere urgenti, irrinunciabili, così vuote da dover parlare ore, smangiucchiando per la fame sopraggiunta parlando.
Sto ingrassando per via delle birre e delle cene con gli amici a cui ho promesso che ci sarò, che li vedrò prima di andare, che ci vedremo appena ritorno. Nei loro sguardi vedo il terrore da “filmino del matrimonio” : tranquilli, prometto che vi aspetto da me, non vi inseguirò con foto e filmati aspettandovi sotto al portone di casa vostra.
Partenze.
Eh si, certe volte l’orologio sembra fotografato, immobile, e rigirandomi nel letto la notte sembra lunga, lunga come il giorno di 24 ore che incontreremo lassù “causa” sole di mezzanotte.
Le notti più lunghe, in attesa dei giorni più lunghi.
Massimo
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